Superamento del periodo di comporto: quali verifiche deve fare il datore di lavoro?
Gentile Cliente,
ll periodo di comporto è il periodo massimo di non lavoro dovuto a malattia o infortunio, nel quale il datore di lavoro non può procedere al licenziamento.
La disposizione è contenuta all’interno dell’art. 2110 del codice civile. Il secondo comma stabilisce che “nei casi indicati nel comma precedente (infortunio e malattia), l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.”.
Nella pratica, il periodo massimo di malattia o infortunio è disciplinato dai contratti collettivi nazionali che definiscono modalità di attuazione del principio previsto dal codice civile e relativa durata.
Ma cosa prevede la contrattazione collettiva?
Di norma i CCNL distinguono due ipotesi:
- il comporto secco: termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia di lunga durata;
- il comporto per sommatoria: termine di conservazione del posto nel caso di più malattie.
Il datore di lavoro, nella eventualità che il periodo di comporto venga superato dal lavoratore, potrà decidere di procedere con la risoluzione del rapporto di lavoro.
Prima di procedere ad avviare la procedura di risoluzione, è tuttavia necessario effettuare alcune verifiche preliminari.
Va verificato, innanzitutto, che nei periodi presi in considerazione non vi siano eventuali malattie escluse dal periodo di comporto, in attuazione di quanto previsto dalla contrattazione collettiva. E’ possibile che alcuni contratti collettivi escludano dal computo del periodo di comporto, particolari patologie, per la loro natura e gravità (ad esempio le malattie di natura oncologica).
Inoltre, vanno escluse malattie o infortuni imputabili al datore di lavoro per violazione delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2527 del 4 febbraio 2020, ha affermato come “le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'articolo 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 codice civile”.
Stesso tenore ha avuto anche l’ordinanza n. 7247 del 4 marzo 2022 della stessa Cassazione.
In definitiva, per il calcolo del periodo di comporto andranno sommate le sole malattie e infortuni non causati da una responsabilità del datore di lavoro e si dovranno detrarre quelle per cui sussista una sua responsabilità.
Calcolare in modo corretto il periodo di comporto è di fondamentale importanza. Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27334 del 16 settembre 2022, ha stabilito che ove il giudice di merito accerti il mancato superamento del periodo di comporto, occorre disporre la reintegra nel posto di lavoro, in quanto si è in presenza di un recesso adottato in violazione di una norma di legge, per cui il mero risarcimento non è sufficiente per sanare l’errore datoriale.
Modalità di comunicazione
Nel caso di superamento del periodo di comporto, è importante la tempestività della comunicazione di recesso. Il trascorrere di un lasso di tempo eccessivo può significare la rinuncia del datore di lavoro ad esercitare il diritto di recedere dal contratto per il superamento del periodo di comporto (Cassazione, sentenza n. 7899 del 22 luglio 1999).
In caso di recesso, il datore di lavoro dovrà concedere il periodo di preavviso ovvero erogare la relativa indennità sostitutiva del mancato preavviso.
La giurisprudenza:
In merito al recesso per superamento del periodo di comporto, è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 9095, del 31 marzo 2023 ha affermato la nullità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato a un lavoratore disabile, qualora il CCNL non abbia differenziato tale periodo per i lavoratori affetti da patologie correlate alla disabilità, in quanto ciò si presta a forme di discriminazione indiretta. In particolare, l’articolo 2, comma 1, lett. b), del Decreto Legislativo n. 216/2003, riconduce tra le forme di discriminazione indiretta le disposizioni e i comportamenti apparentemente neutri che mettono, tuttavia, le persone portatrici di handicap in una situazione oggettiva di svantaggio rispetto ad altre persone.
Sull’argomento è ritornata recentemente la Corte di Cassazione (sentenza n. 6336 del 2 marzo 2023) precisando che il datore di lavoro non è obbligato a specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive; tuttavia, la motivazione da indicare nella lettera di recesso deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.
L’elenco delle assenze potrà essere consegnato al lavoratore dopo il licenziamento, previa sua richiesta (Cassazione, sentenza n. 5752/2019).
In che modo il lavoratore si può tutelare?
Il lavoratore, in prossimità del termine del periodo di comporto, potrà richiedere la fruizione delle ferie residue, al fine di procrastinare la scadenza del periodo di comporto. Tali ferie potranno essere negate, da parte del datore di lavoro, esclusivamente in presenza di motivate ragioni. (Cassazione, sentenza n. 27392/2018)
Un’ulteriore richiesta, da parte del lavoratore in malattia/infortunio, per evitare lo sforamento del periodo di comporto, è quello di richiedere una aspettativa per gravi e documentati motivi, prevista dall’art. 4, comma 2, Legge n. 53/2000. Si tratta di una aspettativa dalla prestazione lavorativa di una durata massima pari a due anni che non dà diritto alla retribuzione ed alla relativa contribuzione previdenziale. Inoltre, il periodo di congedo non è computato nell'anzianità di servizio. Recentemente, il legislatore è intervenuto sull’argomento (art. 6, del decreto legislativo n. 105/2022) stabilendo che il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio di tale diritto comporta la perdita della certificazione della parità di genere, prevista dall’articolo 46-bis, del decreto legislativo n. 198 del 11 aprile 2006.