Salario minimo: La magistratura del lavoro rivendica sempre più un ruolo di “garante primario delle retribuzioni”.
Gentile Cliente,
Dalle più recenti Sentenze, incentrate sulla questione del salario minimo, appare sempre più chiaro come la magistratura inizi a svolgere un ruolo da protagonista nel dibattito.
Recenti pronunce della Corte di cassazione, vanno a mettere in qualche modo in discussione i principi di fonte collettiva, in forza di una valutazione effettuata dal giudice.
Tale orientamento è stato assunto dai giudici, per citare un esempio pratico, nella Sentenza della C. Cassazione N. 28321/2023. Tale pronuncia è andata rimarcando come il giudice possa contestare la retribuzione minima fissata da un contratto collettivo, garantendo il diritto del lavoratore «di uscire dal salario contrattuale della categoria di appartenenza», ogni volta che il livello salariale applicato sia giudicato insufficiente in base all’articolo 36 della Costituzione, il quale recita che Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Secondo quanto si evince dalla pronuncia, la valutazione sulla adeguatezza della retribuzione può essere fatta dal giudice sulla base di alcuni indici diversi e concorrenti (consulenza tecnica d’ufficio, equità).
Un approccio simile può rinvenirsi anche nella recente giurisprudenza di merito. Il luglio scorso, il Tribunale di Catania emetteva una sentenza con la quale dichiarava l’inadeguatezza della retribuzione oraria prevista dal Ccnl servizi fiduciari (successivamente aumentata per il rinnovo dell’accordo) per le mansioni di usciere.
Le decisioni citate, appaiono coerenti con la sentenza 27711/2023 della Corte di cassazione, la quale ha rivendicato, con forza, il primato della valutazione giudiziale nella determinazione dell’importo del salario minimo, inteso come livello retributivo conforme ai parametri di proporzionalità e sufficienza fissati dall’articolo 36 della Costituzione.
Il parametro costituzionale è stato utilizzato nella pronuncia della Suprema Corte per lanciare una sorta di avviso al legislatore: seppur fosse la legge ad assegnare ai contratti collettivi il compito di fissare il valore minimo della retribuzione, tale livello salariale non sarebbe intangibile, essendo dovere del Giudice controllare se l’importo sia sufficiente ad assicurare un tenore di vita dignitoso.
La magistratura del lavoro rivendica sempre più un ruolo di “garante primario delle retribuzioni”, ritenendo di essere il soggetto chiamato a tutelare l’applicazione concreta dell’articolo 36 della Costituzione.
Duque, se da un lato il Cnel ricorda la centralità della contrattazione collettiva nella fissazione del salario minimo, la magistratura del lavoro sembra suggerire un’altra via: lasciare ai giudici l’ultima parola sulla congruità della retribuzione, da valutare caso per caso, usando lo strumento dell’articolo 36 della Costituzione.
Tale approccio rischia però di aprire uno spazio eccessivo alla discrezionalità e all’incertezza applicativa, anche in ragione dell’elasticità dei parametri che vengono proposti dalla giurisprudenza per valutare proporzionalità e sufficienza della retribuzione.