Licenziamento e periodo di comporto per malattia: divieti, casistiche e procedure
Gentile Cliente,
Il lavoratore in malattia è soggetto ad una specifica tutela, la quale prevede, oltre all’indennità sostitutiva della retribuzione integrata dal datore di lavoro, il divieto di licenziamento per un periodo di tempo più lungo di quello indennizzato, il cd. Periodo di comporto, la cui definizione in termini di durata è demandata dal legislatore alla contrattazione collettiva.
Diverso è il caso in cui questo periodo venga superato.
Il licenziamento intimato durante il periodo di comporto per malattia è per legge considerato nullo e determina il diritto alla reintegra e al risarcimento per il danno subìto (art. 2110, c. 2, c.c.).
A titolo di risarcimento del danno subito dal lavoratore, il datore deve corrispondere un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, dal giorno del licenziamento all'effettiva reintegrazione. In ogni caso, la misura del risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro è tenuto, inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Durante il periodo di comporto, la decisione di licenziare il dipendente è quindi nulla e priva di effetti.
Ciò vale a meno che il lavoratore non si renda responsabile o venga coinvolto in fatti talmente gravi che l’eventuale decisione di licenziarlo non incontri i divieti di legge perché si presume che la stessa esuli dal perdurare dello stato di malattia.
La regola generale ammette deroga al ricorrere di una delle seguenti circostanze:
- licenziamento per giusta causa ovvero per colpa grave del lavoratore;
- licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione;
- cessazione totale dell’attività d’impresa;
- termine del contratto a tempo determinato;
- mancato superamento del periodo di prova;
- mancata conferma al termine del periodo di formazione nell’apprendistato.
Licenziamento per giusta causa
Il dipendente in malattia può essere licenziato a patto che i motivi alla base del recesso non riguardino il perdurare dell’assenza, ma una sua condotta talmente grave da non consentire la prosecuzione provvisoria del rapporto. Per via della gravità del comportamento posto in essere dal dipendente, il rapporto si risolve immediatamente senza neanche l’obbligo di rispettare il periodo di preavviso previsto contrattualmente.
La giusta causa rientra nella categoria dei “licenziamenti disciplinari” intimati per ragioni connesse al comportamento del dipendente, tale da ledere il vincolo fiduciario tra quest’ultimo e l’azienda. Sono i contratti collettivi e i regolamenti disciplinari a individuare i comportamenti che integrano la giusta causa. Si ricorda che la legittimità del licenziamento per giusta causa si basa sul rispetto di un’apposita procedura disciplinare imprescindibile, e secondo le tempistiche stabilite dal CCNL applicato.
Licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione
Durante la malattia, il dipendente può essere licenziato per giustificato motivo oggettivo in seguito a una sopravvenuta invalidità permanente sorta per ragioni che non dipendono dalle condizioni lavorative, tale da comportare l’inidoneità alle mansioni che gli sono state assegnate. Perché sia legittimo il licenziamento è necessario che sia impossibile ricollocare il dipendente in altre mansioni senza alterare o modificare l’assetto organizzativo e produttivo dell’azienda.
Licenziamento per cessazione totale dell’attività d’impresa
Il dipendente in malattia può essere licenziato anche a causa di cessazione totale dell’attività d’impresa: in questo caso, si configura la fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo legato, però, a dinamiche produttive, organizzative e socio-economiche, anziché alle condizioni fisiche del dipendente.
In tutti questi casi, la malattia si interrompe e il datore di lavoro non è più tenuto a corrispondere la retribuzione.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
La normativa (art. 2110, c.c.) riconosce al dipendente in malattia il diritto di conservare il posto di lavoro per un periodo di tempo fissato dalla legge, dai contratti collettivi ovvero dagli usi (periodo di comporto).
Una volta superato il comporto, l’azienda ha due opzioni:
- licenziare il dipendente, comunicandogli la decisione in forma scritta, indicando i singoli giorni di assenza per malattia;
- mantenere il dipendente in forza.
Se il dipendente ha superato il comporto e l’azienda decide di licenziarlo, è possibile comunicargli la decisione senza dover attendere il rientro in servizio. Il recesso deve essere tempestivo: il giudice chiamato ad esprimersi sull’eventuale contenzioso potrebbe interpretare l’aver fatto trascorrere un tempo troppo lungo dal superamento del periodo di comporto come rinuncia al diritto (c.d. acquiescenza).
Occorre prestare molta attenzione al calcolo dei giorni utili al comporto, escludendo quelli di assenza per malattia determinata da gravidanza o puerperio. In caso di part-time orizzontale, il comporto si calcola con le stesse modalità del contratto full-time, mentre in caso di part-time verticale, occorre riproporzionare la durata del comporto.